UPT - Richieste ulteriori funzioni
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Prospettive assistenziali n. 164 ottobre-dicembre 2008
RICHIESTA L’ATTRIBUZIONE DI ULTERIORI FUNZIONI AGLI UFFICI PROVINCIALI DI PUBBLICA TUTELA DEL PIEMONTE
Nell’articolo “Istituiti in Piemonte gli uffici provinciali di pubblica tutela: un primo timido passo a favore dei soggetti deboli” pubblicato nello scorso numero di questa rivista, avevamo rilevato che i compiti ad essi assegnati dalla legge della Regione Piemonte n. 1/2004 «di supporto a favore dei soggetti ai quali è conferito dall’autorità giudiziaria l’esercizio delle funzioni di tutore», estensibili a quelle di amministratore di sostegno «risultano notevolmente ridimensionate rispetto alle richieste presentate dal Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) di Torino che erano state accolte dalla legge della Regione Piemonte 15 marzo 2001, n. 5 con l’assegnazione alle Province della “istituzione dell’ufficio provinciale di pubblica tutela per l’esercizio di funzioni di tutore ad esse deferite dalle competenti autorità giudiziarie e per la consulenza a favore di altri soggetti individuati come tutori dalle autorità stesse”».
L’attuale limitatezza dei compiti degli uffici provinciali di pubblica tutela è confermata dalla lettera inviata in data 30 aprile 2008 all’Assessore alla sicurezza sociale della Provincia di Torino e per conoscenza all’Assessore al welfare della Regione Piemonte dai Presidenti dei Consorzi socio-assistenziali Cidis di Orbassano, Ciss di Chivasso, Cisa 12 di Nichelino, Cissac di Caluso, Cisap di Grugliasco, Cssc del Chierese, Inrete di Ivrea, Cissa di Moncalieri, Cisa di Rivoli, Cissp di Settimo Torinese, Ciss 38 di Cuorgnè, Conisa di Susa, nonché dai Presidenti delle Comunità montane Chisone-Germanasca, Val Pellice e Val Sangone.
È auspicabile che detta iniziativa, assunta dalla stragrande maggioranza degli enti gestori delle attività socio-assistenziali della Provincia di Torino, venga concretizzata al più presto e sia estesa a tutto il Piemonte.
TESTO DELLA LETTERA
Come noto «La tutela dei minori» – e delle persone interdette in genere – «che non hanno nel luogo del loro domicilio parenti conosciuti o capaci di esercitare l’ufficio di tutore, può essere deferita dal giudice tutelare a un ente di assistenza nel comune dove ha domicilio il minore o all’ospizio in cui questi è ricoverato. «L’amministrazione dell’ente o dell’ospizio delega uno dei propri membri a esercitare le funzioni di tutela» (1). Per quanto attiene all’individuazione dell’ente al quale deferire la tutela «Il giudice tutelare può chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondano alle sue funzioni» (2). Lo scopo dell’ente – ovvero la maggiore adeguatezza potenziale ad esercitare la funzione di tutela – ha dunque rappresentato il criterio in base al quale sono stati individuati, negli Enti gestori delle funzioni socio-assistenziali e nelle Aziende sanitarie, i soggetti ai quale affidare le tutele, le curatele e le amministrazioni di sostegno. Dalla esperienza di esercizio della funzione di pubblica tutela da parte degli Enti gestori emerge però la diffusa convinzione che se per il “buon padre di famiglia” è agevole contemperare cura, rappresentanza ed amministrazione del proprio (singolo) tutelato, per il legale rappresentante dell’Ente socio-assistenziale risulta sempre più difficoltoso conciliare un corretto esercizio della funzione di tutore – che prevede che si abbia esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi del tutelato – con la situazione degli organici dell’Ente che preclude, sempre più, la possibilità di reperire idonee professionalità da destinare agli “uffici tutele”.
Inoltre, per l’esercizio della funzione di amministratore di sostegno, si pone il problema determinato dall’articolo 408 del codice civile (3) che afferma: «Non possono ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario». Infatti, a differenza di quanto accade nei Comuni che esercitano direttamente le funzioni socio-assistenziali – ove l’amministrazione di sostegno viene assegnata ad un Assessore che, in quanto tale, è privo di poteri gestionali sui servizi – nella maggioranza degli Enti gestori l’esercizio della legale rappresentanza (e quindi dell’amministrazione di sostegno) è svolto dal Direttore che si avvale dei “propri” operatori non solo per la gestione degli aspetti amministrativi della funzione di sostegno, ma anche per la cura della persona amministrata. Con l’ovvia conseguenza che – nei fatti – sono proprio gli operatori che hanno in carico il beneficiario a svolgere tale funzione.
Da quanto evidenziato si comprende l’esigenza che la Provincia di Torino valuti la possibilità di promuovere la costituzione di uffici associati di pubblica tutela, decentrati negli ambiti territoriali di competenza di più consorzi socio-assistenziali, di comunità montane, di Asl attraverso i quali svolgere – su base locale – i compiti inerenti la gestione delle misure di protezione giuridica. Occorre infatti ricordare che – tra le funzioni attribuite alle Province dall’articolo 5 della legge regionale n. 1/2004 – assume una certa importanza il «coordinamento degli interventi territoriali su richiesta degli enti locali interessati» (articolo 5, comma 2, lettera c). Inoltre giova sottolineare la facoltà della Provincia di operare per la «realizzazione di altri interventi per la promozione e l’integrazione dei servizi sociali locali» (articolo 5, comma 2, lettera i). E, tra gli interventi che andrebbero sicuramente “coordinati e meglio integrati”, trovano indubbiamente posto quelli relativi all’esercizio delle funzioni di tutore da parte degli Enti gestori e delle Asl ai quali l’autorità giudiziaria ha, sino ad oggi, conferito l’esercizio delle tutele, delle curatele e – come ricordato – delle amministrazioni di sostegno.
Come si è detto, gli Enti gestori e le Asl si fanno oggi singolarmente carico dell’esercizio delle funzioni di pubblica tutela investendo proprie risorse professionali e finanziarie. Si rileva però che se per quanto attiene alle risorse professionali addette alle funzioni di cura della persona del tutelato è possibile mantenere l’attuale organizzazione – che prevede che siano i servizi (sociali e/o sanitari) degli Enti preposti ad occuparsi della cura del tutelato – nell’esercizio delle altre due funzioni connesse (la rappresentanza e l’amministrazione dei beni del tutelato) si riscontrano invece difficoltà notevoli. Non solo per le ambiguità dei ruoli precedentemente descritte, ma anche perché nell’ambito delle ridotte dotazioni organiche degli Enti gestori non sono più reperibili le professionalità e le competenze necessarie allo svolgimento dei compiti richiesti. Inoltre la situazione è destinata ad aggravarsi nel tempo, in quanto è prevedibile un progressivo aumento di tutele, inabilitazioni ed amministrazioni di sostegno.
Una soluzione a tali problemi potrebbe dunque essere ricercata nella costituzione di uffici di pubblica di tutela associati e decentrati, presso i quali gli Enti gestori e le Asl potrebbero distaccare – secondo piani concordati – gli operatori necessari a comporre un nucleo operativo. Tale nucleo – opportunamente implementato attingendo a risorse provinciali economiche e/o di personale dedicato – potrebbe farsi carico sia delle tutele socio-assistenziali che di quelle sanitarie, garantendo, in tal modo, un effettivo supporto all’esercizio delle attività di cura svolte dai servizi, una maggiore omogeneità nell’esercizio della funzione nel suo complesso, un unico riferimento per i Giudici tutelari.
Per la costituzione degli uffici territoriali ci si potrebbe avvalere dell’istituto della “convenzione” tra Enti locali «al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati» (articolo 30 del decreto legislativo n. 267/2000). Tali convenzioni (nella fattispecie tra Province, Enti gestori ed alle quali potrebbero aderire le Asl) prevedono infatti la possibilità di «costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, avvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti» (articolo 30, comma 4). In tal modo l’esercizio dei “compiti di supporto” – attribuiti alle Province dall’articolo 5, comma 2, lettera j) della legge regionale n. 1/2004 – verrebbe a concretizzarsi, in primo luogo, come fattivo contributo al «coordinamento degli interventi territoriali su richiesta degli enti interessati» (altra importante funzione delle Province ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c della legge regionale n. 1/2004). Inoltre, tutte le ulteriori attività attraverso le quali si declinerà la funzione di supporto, potranno venire integrate con il concreto esercizio delle funzioni di tutore da parte dei soggetti territoriali ai quali è conferita la funzione dall’autorità giudiziaria. Questi ultimi potrebbero infatti delegare – con atto depositato presso l’ufficio del Giudice tutelare – l’esercizio delle funzioni di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia al funzionario, adeguatamente formato ed in possesso della necessaria motivazione, individuato quale responsabile dell’ufficio di pubblica tutela territoriale.
È infine appena il caso di osservare che, attraverso una gestione integrata territoriale degli istituti di tutela, si potrebbero realizzare le economie e le sinergie necessarie ad affrontare l’incremento di attività che già si manifesta in modo evidente. Confidando nella disponibilità dell’Assessorato, si richiede un incontro per approfondire le tematiche esposte e meglio argomentare la proposta formulata.
(1) Codice civile, articolo 354 (Tutela affidata a enti di assistenza).
(2) Codice civile, articolo 344, comma 2 (Funzioni del giudice tutelare).
(3) Introdotto con la legge n. 6, 9 gennaio 2004.