PERCHE' ANTICIPARE IL "dopo di noi"
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- Ultima modifica il Martedì, 27 Aprile 2021 10:08
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26 aprile 2021
PERCHE' ANTICIPARE IL "dopo di noi"
(https://www.nichelino.com/news/index.php/spazio-aperto/59-volontariato/3732-spazio-utim-perche-anticipare-il-dopo-di-noi)
Su Repubblica del 28 marzo 2021 leggiamo: “Asti. Un padre anziano e vedovo, in quarantena perché malato Covid, si sente male in casa.
Un figlio autistico, che non riesce a comunicare e a chiedere aiuto. I vigili del fuoco sfondano la porta quando ormai è troppo tardi”.
Non si tratterebbe di una tragedia della solitudine. Sarebbero stati in molti a occuparsi di padre e figlio, 78 anni l’uno e 49 l'altro, dopo che un paio di anni fa erano rimasti soli in casa dopo la morte della moglie e madre.
Una cugina, tutrice del ragazzo, li andava a trovare o li sentiva di frequente. Ma da alcuni giorni interveniva a distanza, da quando l'anziano era in quarantena assieme al figlio. In mattinata la cugina aveva provato a chiamarli. Senza risposta era scattato l'allarme. Ma quando i vigili sono riusciti ad entrare purtroppo per l'uomo non c'era più nulla da fare.
Il figlio autistico è stato inserito in un reparto psichiatrico. Una soluzione assolutamente inadeguata, accettabile solo nell’emergenza e per un breve periodo. Ma sulla collocazione definitiva resta incertezza. Certo è, in ogni caso, che Asl/Comune, in base alle norme vigenti (Lea), devono fornire una sistemazione residenziale.
Si, ma sarà adeguata alle necessità? Vista la situazione d’emergenza, probabilmente non sarà quella auspicata. Come per esempio una piccola struttura a carattere familiare, predisposta per la presa in carico di persone con disabilità intellettiva/autismo, inserita in un normale contesto urbano, vicino agli affetti rimasti (parenti, amici...).
È chiaro che questa vicenda dovrebbe far riflettere le famiglie che vivono condizioni simili. E far comprendere che forse sarebbe opportuno pensare al “dopo di noi” PRIMA, senza aspettare l’emergenza.
Nei fatti di Asti, considerata la situazione di precarietà del nucleo familiare, centrata solo sull’anziano padre, forse sarebbe stato preferibile che il figlio avesse già tagliato il “cordone ombelicale” con la famiglia.
L’inserimento in una struttura di accoglienza a tempo debito, avrebbe consentito, possibilmente, di scegliere la collocazione stessa, di attendere se del caso la disponibilità di “quel” posto, di conoscere l’ambiente, di familiarizzare con gli altri utenti, con il personale. Con ancora la vigile presenza del genitore.
Per tempo difatti, si sarebbe potuto accompagnare e seguire l’inserimento in struttura, facendo ambientare gradualmente la persona nel nuovo contesto. La comunità ne avrebbe potuto conoscere a fondo le abitudini, le necessità. I familiari, ancora presenti, avrebbero potuto intervenire, se necessario, per chiedere di adeguare o migliorare le prestazioni fornite. Non avrebbero "abbandonato" nessuno. Lo avrebbero seguito costantemente, permettendo anche il periodico ritorno a casa, per es. nel fine settimana, ecc.
Nel nostro territorio, soluzioni residenziali adeguate (cioè piccole strutture, a carattere familiare, inserite nel normale tessuto sociale) ve ne sono. Occorre tener presente che le strutture possono accogliere gli utenti anche solo per brevi periodi, per es. per sollievo familiare o in caso di emergenza temporanea. Anche se purtroppo le comunità non sono sufficienti considerando la lista di attesa potenziale, ovvero l’età avanzata di diverse famiglie che accolgono al loro interno persone con disabilità intellettiva grave. Le istituzioni locali (Cisa12, Comuni, AslTo5), più volte sollecitate in merito dall’Utim, dovrebbero provvedere al più presto e rimediare.
Certo, il distacco in sé del figlio è in genere doloroso. Ma pensando all’incognita di una sistemazione in emergenza in assenza di genitori, allora provvedere prima è molto meglio. E a detta di chi ha potuto pensare in anticipo ad una sistemazione definitiva, ora vive la propria vita con più serenità. Ha anticipato, insomma, quel “dopo di noi”, come un figlio adulto che, a un certo punto, va via di casa e si fa la sua vita. Così, allora, il “dopo di noi” non è così nero come lo si immagina.
Giuseppe D'Angelo