Interdizione, Amministrazione di sostegno, Inabilitazione
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08/04/14
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AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, INTERDIZIONE ED INABILITAZIONE - Roberto MASONITratto da Persona e Danno http://www.personaedanno.it
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1.1. Capacità di agire e misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia
Un sedicenne intende acquistare un cellulare di ultima generazione. Il negoziante, che abbia verificato la minore età del ragazzo, non dovrebbe addivenire alla vendita se non in presenza del genitore, pena l’annullabilità del negozio (art. 1425 c.c.).
La capacità di agire indica l’attitudine del soggetto a compiere e ricevere atti giuridici incidenti sulla propria sfera personale e patrimoniale. La capacità di agire si acquista, di regola, al compimento del 18º anno di età (art. 2 c.c.); ossia, in forza di presunzione legale compiuta dall’ordinamento giuridico e non vincibile da prova contraria, quando la persona viene ritenuta matura per partecipare al traffico giuridico. Il contratto concluso dal minore di età è annullabile (art. 1425 c.c.). La regola, in tema di acquisto della capacità al compimento della maggiorità, subisce eccezione laddove il maggiorenne non sia, comunque, in grado, a causa della disabilità che l’affligge, di gestire i propri interessi. In tal caso, la capacità di agire può essere limitata o del tutto eliminata in forza delle misure di protezione delle persone prive in tutto in parte di autonomia, contenute nel titolo XII del libro primo del codice civile (artt. 404-432 c.c.); amministrazione di sostegno, interdizione ed inabilitazione. Viceversa, l’interdizione legale non adempie ad alcuna finalità protettiva, in quanto ha funzione prettamente sanzionatoria ed è applicabile nei confronti dei condannati per gravi reati (su cui infra § 3). Il minore è quindi persona priva della capacità di agire a causa del suo ancora insufficiente sviluppo mentale, esistenziale e personologico (salvo il caso dell’emancipazione; art. 390 e ss. c.c.). Viceversa, il maggiore è tendenzialmente considerato soggetto in grado di partecipare al commercio giuridico e quindi in grado di compiere e ricevere atti negoziali. Tuttavia, la capacità può essere ridotta o ablata a fronte del riscontro della sua incapacità gestionale. Fino al marzo 2004, la tutela civilistica dell'infermo di mente era affidata ai tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, i quali avevano l'effetto di eliminare completamente o parzialmente la capacità di agire dell’infermo di mente. In seguito all'approvazione della legge 9 gennaio 2004, n. 6, di istituzione dell'amministrazione sostegno, le misure di protezione dei disabili si sono arricchite della nuova figura dell'amministrazione di sostegno, in tal modo innovando una tradizione giuridica risalente al diritto romano, che conosceva le figure del curator furiosi e del curator prodigi. Sono state così accolte, dopo oltre un trentennio di dibattiti della nostra civilistica, le istanze volte al superamento delle obsolete ed inadeguate forme di protezione giuridica del sofferente psichico, grazie all’introduzione, sulla scorta di suggestioni straniere, di una misura protettiva (l’amministrazione di sostegno) in grado di superare le rigidità e gli sproporzionati effetti giuridici che ancor oggi interdizione ed inabilitazione inducono sulla condizione giuridica dell’infermo di mente.
1.2 L’amministrazione di sostegno
Una persona ultraottantenne si sposta in carrozzina a causa di una malattia degenerativa degli arti inferiori. La stessa ha mantenuto piena lucidità mentale, ricordando il passato e il presente, i nomi dei familiari, l'entità della pensione, l'indirizzo di residenza e la domiciliazione bancaria. Tuttavia, la disabilità puramente fisica che l’affligge le impedisce di recarsi autonomamente alla posta per il ritiro della pensione. Ecco, quindi, l’esigenza di nominare un amministratore di sostegno che la sostituisca o assista nelle incombenze che, causa disabilità fisica, la stessa non è più in grado di espletare da sola.
L’amministrazione di sostegno (introdotta dalla l. 9 gennaio 2004, n. 6) è primaria misura di protezione dell’essere umano in condizione di difficoltà, dotata di amplissimo spettro applicativo. La nomina dell'amministratore di sostegno avviene mediante pronunzia di decreto da parte del giudice tutelare del luogo dove la persona ha la residenza o il domicilio effettivo (art. 404 c.c.) . La nomina dell'amministratore di sostegno si rende necessaria in presenza dei seguenti tre presupposti normativi espressi: a) la persona è affetta da un'infermità, ovvero da una menomazione fisica o psichica; b) si trova nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi; c) infine, la disabilità della persona incide negativamente sulla gestione degli interessi personali o patrimoniali (c.d. nesso eziologico) (art. 404 c.c.). Come si vede, la nomina di un sostituto o di un assistente per la persona non in grado di gestire i propri interessi presuppone la congiunta sussistenza di questi tre presupposti normativi; a) infermità fisica o psichica b) incapacità gestionale c) e nesso eziologico tra l'uno e l'altra. In presenza di questa condizione personale, è necessario predisporre un’adeguata forma di protezione giuridica del disabile, “con la minor limitazione possibile della capacità di agire” (come ha cura di precisare l’art. 1 della l. n. 6 del 2004). Il giudice tutelare, investito della richiesta di nomina, deve confezionare un decreto (un vero e proprio “abito su misura” cucito sulle esigenze personali del disabile) ove vengono indicati specifici ed individuati atti giuridici per i quali questi viene sostituito e rappresentato dall'amministratore di sostegno, ovvero, nei casi meno gravi, semplicemente assistito (art. 405, quinto comma, n. 4, c.c.); dato che, per quelle specifiche attività giuridiche, la persona non è in grado di curare i propri interessi, personali e/o patrimoniali. Non va peraltro dimenticato che la misura dell'amministrazione sostegno può essere attivata unicamente nei confronti di persona maggiore degli anni 18, come emerge dall'art. 405, secondo comma, c.c., che si riferisce all'apertura dell'amministrazione nei confronti di minore non emancipato nell'ultimo anno della sua minore età, col chè la nomina diventa esecutiva dal momento in cui la maggiore età è raggiunta. In tal modo non si ravvisa soluzione di continuità tra incapacità legale d’agire ed incapacità giudiziale scaturente dalla previsione contenuta nel decreto di nomina.
1.3. Il procedimento
L’anziana ultraottantenne, sentita nel procedimento di nomina di ads che la concerne in qualità di beneficiaria, può evidenziare al giudice, agli effetti della riscossione della pensione, l’opportunità che venga nominato amministratore di sostegno il figlio, nei cui confronti la stessa nutre piena fiducia.
Per la nomina dell'amministratore di sostegno va seguito un procedimento giudiziario, c.d. di volontaria giurisdizione, che si dipana innanzi al giudice tutelare. Il ricorso per l'istituzione dell'amministrazione sostegno può essere proposto dallo stesso beneficiario, dai suoi parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente e dal pubblico ministero. Sono legittimati alla presentazione del ricorso pure i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona laddove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento in questione. In alternativa alla presentazione del ricorso, i responsabili dei servizi sanitari sociali possono inviare informativa scritta al pubblico ministero affinché sia l’organo inquirente a decidere la presentazione del ricorso (art. 406 c.c.). Momento cruciale, ed irrinunciabile della procedura di nomina dell'amministratore di sostegno è l'audizione del beneficiario, ossia del disabile, al punto che il giudice, “ove occorra” (ad es., in caso di persona gravemente malata e perciò intrasportabile, lungodegente, persona in S.V.P, in coma, politraumatizzata, etc.), è tenuto a recarsi nel luogo in cui la persona si trova (art. 407, 2° comma, c.c.), per l'effettuazione dell’audizione domiciliare. Laddove possibile, a seconda delle circostanze del caso concreto, il g.t. è tenuto ad instaurare un dialogo partecipe ed empatico col beneficiario, non certo a sottoporlo ad un interrogatorio o ad un esame ex catedra, che svolga dall’alto in basso. Lo stesso serve a far emerge “i bisogni e le richieste” della persona, di cui il giudice deve tenere conto nella redazione del decreto di nomina (art. 406, 2° comma, c.c.). Sempre a fini istruttori, vanno ascoltati i parenti del beneficiario e quanti abbiano presentato ricorso, eventualmente disponendo CTU medica. Il giudice tutelare una volta terminata l'istruttoria, deve scegliere la figura dell'amministratore di sostegno, normalmente individuata nella persona nei cui confronti l'amministrato ripone piena fiducia. Il legislatore non ha fissato un ordine di eligibili all'ufficio, predeterminandolo in modo rigido e secondo un prestabilito ordine gerarchico. A parte l'ipotesi in cui l'amministratore sia stato designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale futura incapacità mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, il giudice sceglierà le persone, anche affettivamente, più vicine al beneficiario, quali: il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado (art. 408, 1° comma, c.c.). Nelle situazioni di abbandono, quando il disabile non abbia madre, padre, fratelli e sorelle e neppure coniuge o persona stabilmente convivente, il giudice può prescindere dall’elencazione che precede, chiamando all'incarico di amministratore di sostegno “un'altra persona ritenuta idonea” (art. 408, 4° comma., c.c.). In concreto, nella prassi, in assenza di significative figure di riferimento per il beneficiario, il giudice può nominare all’incarico un professionista, avvocato, commercialista, un volontario, etc. Laddove ne sussista l’esigenza, il giudice può adottare, anche d'ufficio, i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per l'amministrazione del suo patrimonio. Tra questi provvedimenti si segnala, innanzitutto, in funzione cautelare, la nomina di un amministratore di sostegno provvisorio, che potrà essere nominato sulla base della documentazione medica versata in atti (art. 405, 4° comma, c.c.) e andrà successivamente confermato nella nomina all’udienza. Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno è soggetto a pubblicità. Lo stesso va annotato nell'apposito registro di cancelleria e poi annotato a margine dell'atto di nascita del beneficiario ad opera dell'ufficiale dello stato civile (art. 405, 7° ed 8° comma, c.c.). Lo stesso poi, laddove riguardi persona che non abbia ancora compiuto gli ottant'anni, deve essere annotato nel casellario giudiziario (v. d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313).
1.3. Condizione giuridica del beneficiario e dell'amministratore di sostegno
L’anziana ultraottantenne, in carrozzina, peraltro perfettamente lucida mentalmente, cui sia stata nominato un amministratore di sostegno preposto in sua vece al ritiro della pensione alla posta, rimane pienamente capace di agire per ogni attività giuridica diversa dalla riscossione della pensione. Quindi, laddove un venditore di aspirapolveri si rechi a casa sua per venderle uno stock di prodotti, il contratto concluso dalla nonnina è perfettamente valido, dato che la stessa ha mantenuto piena capacità di agire.
Per effetto del decreto di nomina si costata una limitazione, più o meno ampia, della capacità di agire del beneficiario. L'art. 409 c.c. ha infatti cura di precisare che il beneficiario “conserva” la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. Questo significa che la capacità di agire residua della persona con disabilità consta di una semplice operazione di sottrazione; sottraendo dalla stessa gli atti che, a tenore di decreto, possono essere compiuti unicamente dall'amministratore di sostegno. In ogni caso, la nomina dell'amministratore di sostegno non richiude il beneficiario nello status di amministrato di sostegno. Il beneficiario dell'amministrazione sostegno può, in ogni caso, compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (art. 409, 2° comma, c.c.). La relazione intercorrente tra amministratore di sostegno e beneficiario della misura, agli effetti del buon funzionamento dell'istituto, presuppone un rapporto fiduciario e di collaborazione, al punto che l'art. 410 c.c. ha cura di precisare che, nello svolgimento dei suoi compiti, l'amministratore di sostegno deve tenere conto dei “bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”, come pure che l'amministratore deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere ed il giudice in caso di dissenso. All'amministratore di sostegno si applicano talune disposizioni dettate in tema di tutela dei minori, in forza dell'espresso richiamo contenuto dell'art. 411, 1° comma, c.c. In modo particolare, l’amministratore di sostegno viene investito dell’ufficio a far data dalla prestazione del giuramento (art. 349 c.c.). Tra le attività preliminari che fanno capo all'amministratore di sostegno vi è l’effettuazione dell'inventario dei beni del amministrato, laddove il patrimonio dello stesso (per consistenza, entità o altra circostanza) lo richieda (art. 362 c.c.). L'amministratore di sostegno deve poi chiedere al giudice tutelare le autorizzazioni per il compimento di determinati atti a carattere straordinario concernenti il patrimonio dell’amministrato artt. 374, 375, 376 c.c. Periodicamente l’amministratore deve presentare al g.t. (art. 380 c.c.) relazione scritta sull’attività svolta e sulle condizioni personali e sociali del beneficiario (art. 405, 5° comma, n. 6, c.c.). Infine, al cessare della misura, egli deve presentare la relazione finale (art. 385 c.c.) che deve essere approvata dal giudice (art. 386 c.c.). L’ufficio di ads è gratuito, tuttavia il giudice, tenuto conto dell’entità del patrimonio e delle difficoltà incontrate, può assegnare un’equa indennità all’amministratore di sostegno (art. 379 c.c.). Con riferimento poi alla condizione giuridica in cui si trovi l’amministrato di sostegno, si prevede che gli atti compiuti dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto istitutivo sono annullabili ed analoga disciplina è dettata per gli atti dell'amministratore di sostegno compiuti in violazione di disposizioni legge o in eccesso rispetto all'oggetto dell'incarico o ai poteri conferitigli dal giudice (art. 412 c.c.).
1.4. Cessazione della misura
Disposta la nomina di un amministratore di sostegno a beneficio di un maggiorenne dedito al consumo di sostanze stupefacenti e collocato lo stesso in comunità per disintossicarsi, al termine del percorso di disintossicazione e raggiunta la piena guarigione, la misura andrà revocata, essendo cessato il presupposto di attivazione.
Il provvedimento di nomina dell'amministratore di sostegno è, in ogni tempo, modificabile ed integrabile (art. 407, 4° comma, c.c.), con possibilità di sostituzione dell’amministratore di sostegno, oltre che revocabile (art. 413 c.c.). La chiusura della misura può automaticamente verificarsi quando la stessa sia stata stabilita per un tempo determinato (at. 405, 5° comma, n. 2, c.c.) e perciò allo scadere del termine fissato. In ogni caso, la revoca della nomina è disposta laddove cessino i presupposti normativi che ne hanno determinato l’apertura (art. 413, 1° comma, c.c.). Il procedimento di revoca è particolarmente agile, semplice e celere. L’istanza di revoca è comunicata all’amministratore di sostegno ed al beneficiario ed il giudice provvede con decreto motivato, acquisite le necessarie informazioni e disposti gli opportuni mezzi istruttori (art. 413, 2 e 3° comma, c.c.). L'art. 413 c.c. dice pure che, quando la misura dell'amministrazione si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario, il giudice possa disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la promozione del giudizio di interdizione o inabilitazione.
2. Interdizione ed inabilitazione; presupposti applicativi
Un maggiorenne affetto da sindrome di down (una patologia genetica che induce un ritardo mentale in misura variabile) beneficia di pensione di invalidità essendo stata accertata una situazione dihandicap, a norma della l. n. 104 del 1992. L’istituto previdenziale non permette però ai genitori la riscossione della pensione in suo luogo, data la sua condizione di invalidità. A questo punto i genitori, avanzano istanza di nomina di amministrazione di sostegno affinchè la pensione possa essere riscossa dall’amministratore in nome e per conto del disabile. Quest’ultima è la misura adeguata alla gestione degli interessi della persona, non certo l’interdizione o l’inabilitazione, che risulterebbe sproporzionata oltreche eccessiva rispetto ai limitati interessi gestionali del disabile (in senso antitetico, cfr., però, Trib. Biella 25 novembre 2008, in DFP, 2008, 251).
Abbiamo ricordato al principio come la legge n. 6 del 2004 abbia determinato un’evoluzione assai significativa (per non dire rivoluzionaria) degli istituti d'incapacità di agire. Se è vero che le obsolete misure di protezione degli incapaci, interdizione ed inabilitazione, sono state conservate dal legislatore (seppur un poco addolcite e modificate rispetto all’originaria rigidità ed asprezza), tuttavia le stesse assumono oggi, in presenza del nuovo istituto dell'amministrazione sostegno, un ruolo decisamente marginale e residuale, come fossili in un museo. Presupposto di pronunzia dell’interdizione giudiziale è il riscontro della condizione di grave ed abituale infermità di mente della persona che la rende incapace di provvedere ai propri interessi. La sentenza interdittiva può (in passato invece, “doveva”; cfr. il testo dell’art. 414 c.c., antecedentemente la riforma del 2004) essere pronunziata quando sia necessaria ad assicurare l’adeguata protezione dell’infermo di mente (art. 414 c.c.). La giurisprudenza precisa che l'infermità di mente non necessariamente deve rivestire la qualificazione di malattia medicalmente accertabile, rilevando piuttosto ogni forma di alterazione mentale che renda il soggetto incapace di provvedere ai propri interessi. L’infermità di mente deve essere, non solo abituale e perciò persistente nel tempo, ma pure grave, secondo un parametro di natura quantitativa, come emerge dal disposto dell'art. 415 c.c., laddove la disposizione evidenzia come la pronunzia di inabilitazione sia, appunto, da preferirsi quando “l'infermità di mente non sia talmente grave da far luogo all'interdizione”. Precisa quest’ultima disposizione che possono essere inabilitati pure coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongano sè e la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. L'ultimo comma della disposizione precisa infine che possono essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un'educazione sufficiente e salva l'applicazione dell'art. 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.
2.1. Differenziazione rispetto all’amministrazione di sostegno
L’interdizione è stata ritenuta misura idonea a garantire la corretta gestione del rilevantissimo patrimonio del destinatario, persona quasi centenaria ed ormai in condizioni di incapacità fisiopsichica (Cass. 26 luglio 2013, n. 18.171).
Problema cruciale e di massima rilevanza pratica e sistematica emerso in seguito alla riforma del 2004, consiste nell’individuazione dei confini di applicazione delle diverse misure di protezione delle persone con disabilità. La Corte di Cassazione è pervenuta ad affermare questi principi. La differenziazione tra amministrazione di sostegno ed ulteriori istituti di protezione a tutela degli incapaci, quali interdizione ed inabilitazione, che non sono stati soppressi ma che hanno un carattere del tutto residuale (Cass. 24 luglio 2009, n. 17.421), è individuabile non già nel diverso e meno intenso grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia; ma piuttosto nella maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto, in relazione alla sua flessibilità e alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. La scelta della misura di protezione più adeguata alle esigenze di protezione appartiene all'apprezzamento del giudice di merito il quale dovrà individuarla con riferimento al tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerando anche la gravità e durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonchè a tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie (Cass. 12 giugno 2006, n. 13.584; Cass. 26 ottobre 2011, n. 22.332; Cass. 26 luglio 2013, n. 18.171).
2.2. Procedura
Le domande paradigmatiche che vengono formulate dal giudice durante l’esame dell’interdicendo e dell’inabilitando attengono alla richiesta di generalità, alla capacità di orientamento nel tempo e nello spazio ed alla capacità di riconoscere il denaro e comprenderne il valore (c.d. prova della banconota).
Interdizione ed inabilitazione vengono pronunziate al termine di un processo ordinario di cognizione di natura contenziosa, che si conclude con sentenza pronunziata dal tribunale (art. 718 c.p.c.) Possono proporre istanza di interdizione o di inabilitazione non solo l'infermo di mente, ma pure il coniuge, la persona stabilmente convivente, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado, il tutore, il curatore ed il pubblico ministero (art. 417 c.c.). L’istruttoria del processo si compendia, innanzitutto, nell'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando (art. 714 c.p.c.). Vengono poi espletati i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio, con audizione dei parenti prossimi dell'interdicendo o dell'inabilitando (art. 419 c.c.). Una volta terminata l'istruttoria, il giudice può nominare un tutore o un curatore provvisorio (art. 717 c.p.c.). Se nel corso de giudizio di interdizione o di inabilitazione appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio o sua istanza di parte, dispone la trasmissione del fascicolo del procedimento al g.t. per la nomina dell’amministratore di sostegno (art. 418, ultimo comma, c.p.c.). Come per il decreto istitutivo dell'amministrazione di sostegno, anche i provvedimenti di interdizione ed inabilitazione sono soggetti a pubblicità; questo vale tanto per il decreto di nomina del tutore e del curatore provvisorio, come pure per la sentenza di interdizione o di inabilitazione. Questi provvedimenti sono annotati a cura del cancelliere nell'apposito registro di cancelleria e comunicati all'ufficiale dello stato civile per l’annotazione a margine dell'atto di nascita (art. 423 c.c.).
2.3. Gli effetti
Una persona è stata interdetta per infermità mentale. La stessa intenderebbe acquistare un nuovo televisore per la casa. Tuttavia, non può recarsi al negozio di elettrodomestici e provvedere all’acquisto da sola, in quanto interdetta. La stessa dovrà allora essere accompagnata dal tutore, quale suo rappresentante legale, il quale provvederà all’acquisto ed al pagamento del prezzo in sua vece.
Pronunziata sentenza di interdizione o di inabilitazione, va verificato quale sia la condizione giuridica dell'interdetto e dell'inabilitato. Ebbene, l'interdetto si trova in una condizione giuridica simile a quella del minore, mentre l'inabilitato in una condizione giuridica analoga a quella del minore infrasedicenne emancipato. Infatti, l'art. 424 c.c. richiama per l'interdetto le disposizioni dettate in tema di tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati per la curatela degli inabilitati. Questo significa che l'interdetto non può partecipare al compimento ed alla ricezione di alcun atto negoziale, per il quale viene sostituito dal tutore che lo rappresenta. Mentre l'inabilitato può compiere autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli di carattere straordinario è necessario il consenso del curatore e l'autorizzazione del giudice tutelare (art. 394, 2° comma, c.c.). Quella descritta è la condizione giuridica dell'interdetto, cui viene inibito, interdetto, vietato, precluso, il compimento di qualsivoglia atto giuridico, per quanto tale condizione sia stata almeno parzialmente mitigata dalla riforma del 2004. L'art. 427 c.c. specifica che, nella sentenza che pronunzia l'interdizione, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti dall'interdetto senza l'intervento ovvero con l'assistenza del tutore e, analogamente, per l'inabilitato, che taluni atti eccedenti l'ordinaria amministrazione possono essere compiuti senza assistenza del curatore. Resta il fatto che la pronunzia di interdizione chiude l'infermo di mente in una sorta di gabbia giuridica standard, eguale per tutti, sostanzialmente immodificabile (salva solo la più teorica che pratica possibilità di revocare la pronunzia di interdizione, come stiamo per vedere) e destinata a permanere in perpetuo, precludendogli la partecipazione ad ogni attività giuridica e, anzi, escludendolo dalla vita di relazione e, più in generale, dall’intero consorzio civile, relegandolo in una sorta di ghetto. L’interdizione rappresenta, in definitiva, un “insostenibile strumento di isolamento”. Diversamente, l’amministrazione di sostegno, priva il disabile della capacità di agire nella misura necessaria alla sua protezione, e perciò in modo proporzionato alle condizioni ed esigenze personali, non in misura esorbitante. Al proposito, l’art. 1 della l. n. 6 del 2004 precisa che la nuova legge ha la finalità di tutelare il disabile “con la minor limitazione possibile della capacità di agire”. Il decreto di nomina, cucito addosso al disabile come “un vestito su misura” per soddisfarne le sue specifiche esigenze personali ed esistenziali, è modificabile, revocabile ed integrabile in ogni momento da parte del giudice e la misura può avere una durata temporalmente limitata (cfr. l’art. 405, 5° comma, n. 2, c.c.). Diversamente dall’interdizione, l’amministrazione di sostegno è istituto pienamente rispettoso dei principi fissati dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità fatta a New York il 13 dicembre 2006 (e ratificata dall’Italia con l. 3 marzo 2009, n. 18). A completamento del quadro di esclusione dal consorzio civile che induce la pronunzia di interdizione, il codice civile conserva ulteriori significative, per quanto del tutto anacronistiche, esclusioni dal mondo del diritto poste a carico dell'interdetto. In modo particolare, si prevede che l’interdetto non possa contrarre matrimonio (art. 85, 1° comma, c.c.), nè riconoscere i figli nati fuori dal matrimonio (art. 266 c.c.) o fare testamento (art 591, 2° comma, n. 2, c.c.) o donazione (art. 774 c.c.). Egli è escluso dalle società di persone (art. 2286 c.c.) e dalle società cooperative (art. 2533 c.c.); il contratto di affitto si scioglie automaticamente (art. 1626 c.c.), le parti possono recedere dal contratto di conto corrente in essere con l’infermo (art. 1833, 2° comma, c.c.) e può essere pronunziata la separazione dei beni della comunione legale dei coniugi (art. 193 c.c.). Molto teorica, per quanto ancor’oggi prevista e disciplinata, è la revoca dell’interdizione e dell’inabilitazione, laddove vengano a cessare i motivi che l'hanno determinata (art. 429 c.c.).
3. L’interdizione legale
Il condannato all’ergastolo, interdetto legale, conserva capacità di agire per contrarre matrimonio, fare testamento e, in generale, per il compimento degli atti personalissimi.
Lontanissima dalle misure di protezione dei disabili è l’interdizione legale. L’interdizione legale è una sanzione accessoria che consegue automaticamente alla condanna per un delitto non colposo alla pena dell’ergastolo o alla reclusione non inferiore ad anni cinque di reclusione (artt. 32 e 33 c.p.). All’interdizione legale si applicano, per ciò che concerne la disponibilità e l’amministrazione dei beni, nonché la rappresentanza negli atti ad essi relative, le norme della legge civile sull’interdizione legale (art. 32, 4° comma, c.p.). A questo riguardo, il pubblico ministero trasmette l’estratto della sentenza di condanna al giudice civile (art. 662, 1° comma, c.p.p.). L’interdizione legale influisce unicamente sugli aspetti patrimoniali della sfera giuridica dell’interdetto, non anche sui profili di natura personale. Per i primi profili, l’interdetto legale è sostituito dal tutore all’uopo nominato. La violazione del divieto di compiere attività giuridicamente rilevanti nella sfera patrimoniale rileva quale causa di invalidità del negozio concluso dall’interdetto legale. L’invalidità si concreta nell’annullabilità assoluta del negozio, dato “che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse” (art. 1441, 2° comma, c.c.) e non solo dalla parte (annullabilità c.d. relativa).
LETTURE Napoli 1995 - Bianca 2002 – Bonilini, Tommaseo 2008 - Cendon, Rossi 2009 – Farolfi 2013. |