Sentenza Corte costituzionale 114/2019
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Corte costituzionale
N. 114 SENTENZA - 7 marzo - 10 maggio 2019
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.
Capacita' giuridica e di agire - Limiti alla capacita' di donare - Donazione da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno.
- Codice civile, art. 774, primo comma, primo periodo.
(GU n.20 del 15-5-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 774, primo
comma, primo periodo, del codice civile, promosso dal Giudice
tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli, sull'istanza proposta
da P. B. in qualita' di amministratore di sostegno di A. B., con
ordinanza del 19 febbraio 2018, iscritta al n. 64 del registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2018.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 marzo 2019 il Giudice
relatore Marta Cartabia.
Ritenuto in fatto
1.- Il Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 774,
primo comma (rectius: primo comma, primo periodo), del codice civile,
nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme
abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di
amministrazione di sostegno.
Quanto ai fatti del processo, il rimettente riferisce che il
giudizio e' stato originato dalla richiesta di un'amministratrice di
sostegno di essere autorizzata dal giudice tutelare a disporre una
donazione in nome e per conto della beneficiaria dell'amministrazione
di sostegno. L'amministrazione di sostegno a tempo indeterminato e'
stata aperta nel 2006, individuando come amministratrice la sorella
della beneficiaria. La beneficiaria, che ha due figli maggiorenni ed
economicamente indipendenti, ha espresso il desiderio di donare alla
figlia, in procinto di sposarsi, la somma di diecimila euro per
l'acquisto di una cucina e contemporaneamente mettere "a riserva" la
stessa somma nell'interesse dell'altro figlio. Sentita personalmente
dal giudice, la beneficiaria ha confermato il suo desiderio e il
giudice ha verificato che il patrimonio della beneficiaria ha la
capienza necessaria per disporre la donazione. Il giudice conclude,
dunque, che «la richiesta, alla luce delle indagini svolte, appare
ammantata da intrinseca congruita', genuinita', e passibile di sicura
condivisione».
2.- Nella ricostruzione compiuta dal giudice a quo, il sistema
del codice civile non consentirebbe ai beneficiari di amministrazione
di sostegno di effettuare valide donazioni neppure per il tramite
dell'amministratore.
Il rimettente premette che la fattispecie non e' disciplinata
espressamente da norme di diritto positivo e non e' stata fatta
oggetto di specifiche pronunce della Corte di cassazione. Il problema
e' stato affrontato soltanto in sede dottrinale e dalla
giurisprudenza di merito e risolto in senso negativo (il richiamo e'
al decreto del Giudice tutelare del Tribunale ordinario della Spezia
del 1° ottobre 2010). Dopo avere ricordato che l'art. 774, primo
comma (rectius: primo comma, primo periodo), cod. civ. prevede che
«non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacita'
di disporre dei propri beni» e che le eccezioni a tale regola, tra le
quali non compare il caso dei beneficiari di amministrazione di
sostegno, sono espressamente previste dal codice civile (artt. 774,
secondo comma [recte: primo comma, secondo periodo, e secondo comma],
cod. civ. e 777, secondo comma, cod. civ., oltre alla presunzione
stabilita dall'art. 776 cod. civ.), il giudice rimettente conclude
che per i beneficiari di amministrazione di sostegno la possibilita'
di disporre donazioni dipende dalla soluzione della questione se i
medesimi abbiano una «piena capacita' di disporre dei propri beni» ai
sensi dell'art. 774, primo comma, cod. civ.
Sul punto il rimettente prende le distanze da alcune opinioni
dottrinarie e dalla giurisprudenza di merito e ritiene che «una
ablazione, anche parziale, e financo minima, della capacita' di agire
del beneficiario costituisca [...] indefettibile risultato della
applicazione della misura di protezione in parola». Cio', sia per
ragioni letterali (perche' l'art. 1 della legge 9 gennaio 2004, n. 6,
recante «Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile
del capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno
e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del
codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonche'
relative norme di attuazione, di coordinamento e finali»), nel
disporre che la legge «ha la finalita' di tutelare, con la minore
limitazione possibile della capacita' di agire, le persone prive in
tutto o in parte di autonomia», implicitamente affermerebbe che una
limitazione della predetta capacita', per quanto minima,
necessariamente consegua all'applicazione dell'istituto), sia sulla
base del combinato disposto dell'art. 405, quinto comma, numeri 3) e
4), cod. civ., da un lato, e dell'art. 409, primo comma, cod. civ.,
dall'altro, perche', «se la previsione di atti da compiersi in
rappresentanza o in assistenza integra parte del contenuto
indefettibile del decreto» e «se solo in relazione ad ogni attivita'
diversa dalle predette il beneficiario conserva la capacita' di
agire», allora «il beneficiario subisce immancabilmente una deminutio
della sua capacita', per il solo fatto dell'apertura della misura».
A tale conclusione, peraltro, si arriverebbe anche attraverso
un'interpretazione di ordine sistematico, perche' sarebbe irrazionale
ipotizzare un controllo giudiziale sull'operato di un amministratore
di sostegno incaricato di assistere «un soggetto in toto capace di
agire»; ne' l'assistenza potrebbe mai essere ricostruita «in termini,
del tutto indefinibili, di consiglio, blandizia, suggerimento,
conforto, pena lo svuotamento del contenuto del munus conferito, e la
sua insindacabilita' de facto». Molto piu' corretto apparirebbe
invece tratteggiare l'assistenza in termini di compartecipazione
dell'amministrazione di sostegno al compimento di «negozi giuridici
apprezzabili nella loro essenza ed esistenza, ed altrimenti invalidi
(ex art. 412 [secondo comma] c.c.)». Inoltre, deporrebbero per tale
interpretazione sia la previsione dell'autorizzazione giudiziale al
compimento degli atti di straordinaria amministrazione di cui agli
artt. 375, primo comma, e 411, primo comma, cod. civ., sia le
disposizioni di cui all'art. 411, secondo e terzo comma, cod. civ.
Secondo il rimettente, in definitiva, «[...] alla apertura di una
amministrazione di sostegno consegue necessariamente la privazione,
anche solo minima, ma inevitabile, della capacita' di agire del
beneficiario; [...] ad essa consegue altresi' la necessita' di
prevedere come necessaria l'autorizzazione giudiziale per il
compimento di atti di straordinaria amministrazione, ivi compresi
quelli dispositivi; [...] la piena capacita' di disporre dei propri
beni costituisce corollario, e forse addirittura un quid pluris,
rispetto al mantenimento di una integra capacita' di agire, che deve
presupporsi; [...] il beneficiario di amministrazione di sostegno non
puo' per definizione dirsi titolare di una integra capacita' di
agire, e dunque, della piena capacita' di disporre dei propri beni;
[...] egli non puo' quindi effettuare donazioni».
3.- Sulla base di queste premesse il rimettente, rilevata la
propria legittimazione a sollevare questioni di legittimita'
costituzionale, sostiene, quanto alla non manifesta infondatezza, che
la circostanza che i beneficiari di amministrazione di sostegno non
possano porre in essere valide donazioni, neppure con le forme
abilitative previste dal codice civile, confligga con gli artt. 2 e
3, primo e secondo comma, della Costituzione. In particolare, egli
ricorda che l'art. 2 Cost. pone al vertice dell'ordinamento la
dignita' ed il valore della persona (si richiama la sentenza n. 258
del 2017) e che tale precetto non puo' essere disgiunto ne' dall'art.
3, secondo comma, Cost., che affida alla Repubblica il compito di
rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno
sviluppo della persona, ne' dall'art. 3, primo comma, Cost., dato che
tra le condizioni personali che limitano l'eguaglianza si pone la
condizione di disabilita' o di infermita'.
Secondo il rimettente, la scelta del legislatore del 2004 di non
prevedere la possibilita', in capo ai beneficiari di amministrazione
di sostegno, di effettuare valide donazioni, neppure per il tramite o
con l'ausilio del soggetto incaricato di garantire loro protezione e
con le ulteriori cautele del caso, sarebbe «evidentemente
irragionevole, tanto intrinsecamente, quanto in riferimento a casi
analoghi». Sotto il primo profilo, afferma il rimettente, «[s]e la
legge sull'amministrazione di sostegno ha la finalita' di tutelare le
persone prive in tutto o in parte di autonomia, approntando
interventi di sostegno, e limitando al minimo la loro capacita' di
agire, non vi e' chi non veda come l'inibizione sic et simpliciter
della capacita' di donare ad altro risultato non conduca, se non a
quello di una profonda mortificazione di questi soggetti. Molto piu'
congruo sarebbe stato circondare tale capacita' (mantenendola viva)
di opportuni presidi e cautele, come d'altronde previsto per gli atti
di straordinaria amministrazione patrimoniale in generale». Inoltre,
la norma denunciata «svuoterebbe completamente di contenuto (in
questa materia) il disposto dell'art. 410 c.c. - vera norma "cardine"
dell'istituto in discorso - secondo cui l'amministratore di sostegno,
nell'adempimento dell'incarico, deve tenere conto dei desideri, delle
aspirazioni e dei bisogni del beneficiario». Apparirebbe dunque del
tutto palese il rischio di vera e propria «emarginazione» dei
beneficiari di amministrazione di sostegno, che non potrebbero mai
realizzare la loro volonta' di compiere un gesto che consta «di
bellezza, nobilta', spontaneita', altezza», e che si configura quindi
come una forma di pieno sviluppo della loro persona.
Pertanto il giudice chiede che sia dichiarata l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 774, primo comma, cod. civ., «nella parte in
cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative
richieste, le donazioni da parte del beneficiario di amministrazione
di sostegno». Tale intervento non demanderebbe a questa Corte un
indebito potere di creazione legislativa con usurpazione delle
prerogative del legislatore, ma si limiterebbe a determinare «una
ammissibile, e auspicabile, integrazione della materia in esame,
attraverso il richiamo di norme gia' presenti nell'ordinamento (artt.
777, 375, 411 c.c.), capaci di diventare paradigma ed oggetto della
addictio normativa, quale soluzione, in fondo necessaria, pienamente
rinvenibile nell'ambito della cornice di sistema».
4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che il dubbio di costituzionalita' sia dichiarato
non fondato, perche' il risultato a cui il giudice rimettente intende
pervenire chiedendo alla Corte costituzionale una pronuncia additiva
sarebbe gia' consentito da una corretta interpretazione delle norme
vigenti.
L'Avvocatura sostiene, infatti, che la ricostruzione del quadro
normativo contenuta nell'ordinanza di rimessione sia «fallace» e
tradisca «lo spirito della legge istitutiva dell'amministrazione di
sostegno», che sarebbe «ispirata ad un'ottica di massimo contenimento
della limitazione di capacita' dell'amministrato» (si citano la
sentenza n. 440 del 2005 e giurisprudenza di legittimita' e di
merito). In questo senso, da una lettura sistematica dell'art. 774
cod. civ., in relazione alla disciplina dell'istituto
dell'amministrazione di sostegno e, particolarmente, degli artt. 409,
primo comma, e 411, primo e quarto comma, cod. civ., si evincerebbe
che l'apertura dell'amministrazione di sostegno «di regola non
comporta la perdita della capacita' di agire se non per quanto
espressamente previsto» e «consente - nei casi in cui il divieto sia
previsto dal decreto - di superarlo attraverso l'autorizzazione del
giudice tutelare», dato che appunto l'art. 411, primo comma, richiama
gli artt. 374 e 375 cod. civ.
Considerato in diritto
1.- Il Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 774,
primo comma (rectius: primo comma, primo periodo), del codice civile,
nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme
abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di
amministrazione di sostegno.
Secondo il rimettente, il divieto per i beneficiari di
amministrazione di sostegno di effettuare valide donazioni, neppure
per il tramite o con l'assistenza del soggetto incaricato di
garantire loro protezione e con l'ulteriore cautela
dell'autorizzazione del giudice tutelare, sarebbe innanzitutto lesivo
del valore e della dignita' della persona umana di cui all'art. 2
della Costituzione. Tale divieto, inoltre, si porrebbe in contrasto
con il principio di ragionevolezza intrinseca di cui all'art. 3,
primo comma, Cost., perche' mortificherebbe i beneficiari
dell'amministrazione di sostegno, in contrasto con la finalita'
dell'istituto; esso, per altro verso, svuoterebbe di contenuto il
disposto dell'art. 410 cod. civ., secondo cui l'amministratore di
sostegno, nell'adempimento dell'incarico, deve tenere conto dei
desideri, delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario. L'art. 3,
primo comma, Cost. sarebbe violato anche per disparita' di
trattamento in riferimento a casi analoghi, quali la previsione
dell'autorizzazione giudiziale al compimento degli atti di
straordinaria amministrazione di cui agli artt. 375 e 411 cod. civ.
La norma censurata, infine, violerebbe anche l'art. 3, secondo comma,
Cost., perche', impedendo a coloro che si trovano in una condizione
di inabilita' e infermita' di realizzare il proprio desiderio di
donare, integrerebbe un ostacolo di ordine sociale che impedisce il
pieno sviluppo della personalita' umana.
2.- Le questioni non sono fondate.
Il giudice rimettente muove dal presupposto che il divieto di
donazione stabilito dalla disposizione censurata operi anche nei
confronti dei beneficiari di amministrazione di sostegno.
Tale presupposto interpretativo non puo' essere condiviso.
3.- L'art. 774, primo comma, primo periodo, cod. civ. stabilisce
che «[n]on possono fare donazione coloro che non hanno la piena
capacita' di disporre dei propri beni». Tale divieto di donare e'
sempre stato inteso come rivolto in modo esclusivo agli interdetti,
agli inabilitati e ai minori di eta'. Inoltre, il codice civile
consente al donante, ai suoi eredi o aventi causa di proporre
l'azione di annullamento qualora la donazione sia disposta «da
persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per
qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere
al momento in cui la donazione e' stata fatta» (art. 775, primo
comma, cod. civ.).
Quando il legislatore, con la legge 9 gennaio 2004, n. 6
(Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo
I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e
modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del
codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonche'
relative norme di attuazione, di coordinamento e finali), ha
introdotto, nel corpo del codice civile, accanto ai tradizionali
istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, l'innovativo
istituto della amministrazione di sostegno, a vantaggio della
«persona che, per effetto di una infermita' ovvero di una menomazione
fisica o psichica, si trova nella impossibilita', anche parziale o
temporanea, di provvedere ai propri interessi» (art. 404 cod. civ.),
sono sorte alcune difficolta' di coordinamento con la preesistente
disciplina codicistica.
La disciplina dell'amministrazione di sostegno, in particolare,
non contiene alcuna espressa previsione di raccordo con le
disposizioni in materia di atti personalissimi quali la donazione,
che qui rileva, il testamento e il matrimonio, atti dei quali invece
le norme dello stesso codice civile relative a minori, interdetti e
inabilitati si occupano con previsioni variamente limitative.
Il silenzio del legislatore non ha impedito che in sede
giurisprudenziale si chiarissero i rapporti intercorrenti tra
l'amministrazione di sostegno e i coesistenti istituti
dell'interdizione e dell'inabilitazione. In particolare, le
differenze tra le originarie previsioni codicistiche e la nuova
misura si sono rivelate subito talmente profonde da impedire
l'estensione analogica all'amministrazione di sostegno delle
disposizioni codicistiche riguardanti l'interdizione e
l'inabilitazione.
4.- Per quanto qui interessa, la giurisprudenza di questa Corte
ha gia' chiarito che il provvedimento di nomina dell'amministratore
di sostegno, diversamente dal provvedimento di interdizione e di
inabilitazione, non determina uno status di incapacita' della persona
(sentenza n. 440 del 2005), a cui debbano riconnettersi
automaticamente i divieti e le incapacita' che il codice civile fa
discendere come necessaria conseguenza della condizione di interdetto
o di inabilitato.
Al contrario, come risulta dalla giurisprudenza di legittimita',
l'amministrazione di sostegno si presenta come uno strumento volto a
proteggere senza mortificare la persona affetta da una disabilita',
che puo' essere di qualunque tipo e gravita' (Corte di cassazione,
sezione prima civile, sentenza 27 settembre 2017, n. 22602). La
normativa che la regola consente al giudice di adeguare la misura
alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in
modo tale da assicurare all'amministrato la massima tutela possibile
a fronte del minor sacrificio della sua capacita' di
autodeterminazione (in questo senso, Corte di cassazione, sezione
prima civile, sentenze 11 maggio 2017, n. 11536; 26 ottobre 2011, n.
22332; 29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno 2006, n. 13584; ma si
veda anche Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 11
settembre 2015, n. 17962).
Introducendo l'amministrazione di sostegno, il legislatore ha
dotato l'ordinamento di una misura che puo' essere modellata dal
giudice tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze
di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo
sviluppo delle sue effettive abilita'. Cosi' l'ordinamento oggi
mostra una maggiore sensibilita' alla condizione delle persone con
disabilita', e' piu' attento ai loro bisogni e allo stesso tempo piu'
rispettoso della loro autonomia e della loro dignita' di quanto non
fosse in passato, quando il codice civile si limitava a stabilire una
netta distinzione tra soggetti capaci e soggetti incapaci,
ricollegando all'una o all'altra qualificazione rigide conseguenze
predeterminate.
La nuova disciplina si raccorda pienamente con i piu' recenti
strumenti elaborati nell'ordinamento europeo e internazionale: con la
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
disabilita', fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa
esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18, e con la Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre
2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, il cui art. 26
protegge «il diritto delle persone con disabilita' di beneficiare di
misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e
professionale e la partecipazione alla vita della comunita'».
5.- La giurisprudenza di legittimita' e' costante
nell'interpretare le disposizioni in materia di amministrazione di
sostegno in modo da valorizzare tutte le capacita' del beneficiario
non compromesse dalla disabilita' fisica, psichica o sensoriale.
L'orientamento costantemente seguito dalla Corte di cassazione,
infatti, e' nel senso di ritenere che tutto cio' che il giudice
tutelare, nell'atto di nomina o in successivo provvedimento, non
affida all'amministratore di sostegno, in vista della cura
complessiva della persona del beneficiario, resta nella completa
disponibilita' di quest'ultimo.
Sin dalle sue prime pronunce in materia, la Corte di cassazione
ha affermato che la disciplina introdotta dalla legge n. 6 del 2004
«delinea una generale capacita' di agire del beneficiario
dell'amministrazione di sostegno, con esclusione di quei soli atti
espressamente menzionati nel decreto con il quale viene istituita
l'amministrazione medesima». Ne consegue che il giudice tutelare si
limita, in via di principio, a individuare gli atti in relazione ai
quali ne ritiene necessario l'intervento, «senza peraltro determinare
una limitazione generale della capacita' di agire del beneficiario»:
il giudice tutelare «non si muove, come il giudice della
interdizione, nell'ottica dell'accertamento della incapacita' di
agire della persona sottoposta al suo esame [...], ma nella diversa
direzione della individuazione, nell'interesse del beneficiario, dei
necessari strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie
di atti al cui compimento lo ritenga inidoneo» (Cass., sez. prima
civ., n. 25366 del 2006).
E' significativo ricordare che l'applicazione di tale
orientamento ha recentemente condotto la Corte di cassazione a
ritenere che al beneficiario di amministrazione di sostegno non si
estende il divieto di contrarre matrimonio (atto personalissimo, al
pari della donazione che qui rileva), previsto per l'interdetto
dall'art. 85 cod. civ., salvo che il giudice tutelare non lo disponga
esplicitamente con apposita clausola, ai sensi dell'art. 411, quarto
comma, primo periodo, cod. civ. Anche in tale occasione la Corte di
cassazione ha ribadito che deve escludersi «una generalizzata
applicazione delle limitazioni dettate per l'interdetto, per via di
analogia, al beneficiario dell'amministrazione di sostegno», dato che
quest'ultima misura e' sempre volta a valorizzare le residue
capacita' del soggetto debole (Cass., sez. prima civ., n. 11536 del
2017).
In questa ricostruzione del sistema codicistico assume dunque
importanza centrale l'art. 411, quarto comma, primo periodo, cod.
civ., secondo cui «[i]l giudice tutelare, nel provvedimento con il
quale nomina l'amministratore di sostegno, o successivamente, puo'
disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti
da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si
estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto
riguardo all'interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle
predette disposizioni». Cio' implica che in assenza di esplicita
disposizione da parte del giudice tutelare non possono ritenersi
implicitamente applicabili divieti e limitazioni previsti dal codice
civile ad altro fine.
6.- Il richiamato percorso ermeneutico conduce a ritenere che il
beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacita'
di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d'ufficio, ritenga di
limitarla - nel provvedimento di apertura dell'amministrazione di
sostegno o in occasione di una sua successiva revisione - tramite
l'estensione, con esplicita clausola ai sensi dell'art. 411, quarto
comma, primo periodo, cod. civ., del divieto previsto per
l'interdetto e l'inabilitato dall'art. 774, primo comma, primo
periodo, cod. civ.
Una tale interpretazione risponde del resto al principio
personalista, affermato anzitutto dall'art. 2 Cost., che tutela la
persona non solo nella sua dimensione individuale, ma anche
nell'ambito dei rapporti in cui si sviluppa la sua personalita':
rapporti che richiedono senz'altro il rispetto reciproco dei diritti,
ma che si alimentano anche grazie a gesti di solidarieta' (sentenza
n. 119 del 2015). Nell'architettura dell'art. 2 Cost. l'adempimento
dei doveri di solidarieta' costituisce un elemento essenziale tanto
quanto il riconoscimento dei diritti inviolabili di ciascuno, sicche'
comprimere senza un'obiettiva necessita' la liberta' della persona di
donare gratuitamente il proprio tempo, le proprie energie e, come nel
caso in oggetto, cio' che le appartiene costituisce un ostacolo
ingiustificato allo sviluppo della sua personalita' e una violazione
della dignita' umana.
Peraltro, come gia' ricordato da questa Corte ad altro proposito
(sentenza n. 258 del 2017), il principio personalista impone di
leggere l'art. 2 congiuntamente all'art. 3 Cost., primo comma, che
garantisce il principio di eguaglianza a prescindere dalle
«condizioni personali», tra le quali si colloca indubbiamente la
condizione di disabilita' di cui i beneficiari di amministrazione di
sostegno sono portatori, sia pure in forme e gradi diversi; e secondo
comma, il quale affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli
ostacoli, qual e' appunto la condizione di disabilita', che
impediscono la liberta' e l'eguaglianza nonche' il pieno sviluppo
della persona.
Alla luce di tali principi, posti a fondamento dell'intero
impianto della Costituzione italiana, deve escludersi che la persona
beneficiaria di amministrazione di sostegno possa essere privata
della capacita' di donare fuori dai casi espressamente stabiliti dal
giudice tutelare ai sensi dell'art. 411, quarto comma, primo periodo,
cod. civ, restando tale capacita' integra in mancanza di diversa
espressa indicazione.
Si tratta di un approdo, tra l'altro, che la stessa
giurisprudenza di legittimita' ha esplicitamente raggiunto,
pronunciandosi per la prima volta sul tema dei rapporti tra contratto
di donazione e amministrazione di sostegno in un momento successivo
all'ordinanza di rimessione che ha sollevato le presenti questioni di
costituzionalita' (Corte di cassazione, sezione prima civile,
ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460). Secondo la Corte di cassazione,
il giudice tutelare potrebbe d'ufficio escludere la capacita' di
donare solo «in presenza di situazioni di eccezionale gravita', tali
da indurre a ritenere che il processo di formazione e manifestazione
della volonta' possa andare incontro a turbamenti per l'incidenza di
fattori endogeni o di agenti esterni».
7.- La ricostruzione del quadro normativo ora esposta - che non
ravvisa ne' nella disposizione censurata, ne' all'interno del codice
civile alcun divieto legislativo di donare rivolto ai beneficiari di
amministrazione di sostegno, fatti salvi gli specifici limiti
disposti caso per caso dal giudice tutelare ai sensi dell'art. 411,
quarto comma, primo periodo, cod. civ. - appare, oltre che conforme
al diritto vivente, aderente ai principi informatori dell'istituto
dell'amministrazione di sostegno, connotato da un consapevole e
ponderato «bilanciamento tra esigenze protettive» e «rispetto
dell'autonomia individuale» (Corte di cassazione, sezione prima
civile, ordinanza 28 febbraio 2018, n. 4709); come tale, essa e'
idonea a superare tutti i dubbi di costituzionalita' sollevati dal
rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 774, primo comma, primo periodo, del codice civile,
sollevate dal Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli,
in riferimento agli artt. 2 e 3, primo e secondo comma, della
Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA